Sempre più frequentemente si parla di cyberbullismo; esso è una  declinazione del bullismo condotto attraverso strumenti telematici, per esempio tramite internet. Il termine, coniato dal docente canadese Bill Belsey, si riferisce generalmente ad atti di bullismo telematico fra adolescenti, per distinguerlo dalla cybermolestia che avviene tra adulti o fra un adulto e un minorenne. Quando il comportamento da bullo a scuola viene trasferito anche online, dove la possibilità di fermare gli atti denigratori e limitarne la loro diffusione diviene quasi  impossibile, si assiste ad una sommatoria di rischio, ad un aggravamento della situazione della vittima.

Confrontando la percentuale di incidenza del bullismo e del cyberbullismo, i dati indicano una minore incidenza di quest’ultimo sebbene si tratti di un fenomeno in crescita.

Il Cyberbullismo presenta alcune peculiarità rispetto alle caratteristiche del bullismo, che lo rendono ancora più subdolo e pericoloso.

Nel cyberbullismo cambiano i contesti e i tempi del bullismo. Per la vittima è più difficile sfuggirne perché anche quando quest’ultimo pensa di trovarsi in un ambiente protetto, come il contesto familiare, o in tempi privati, quali la notte, può essere raggiunto. In rete infatti è sempre possibile inserire immagini e video a prescindere dalla presenza dell’altro cui si riferiscono i contenuti immessi. In questo caso la vittima non può proteggersi evitando o limitando i momenti di incontro con il cyberbullo: egli può agire in qualsiasi momento e in qualsiasi tempo.

Inoltre, la stessa immagine o il singolo episodio rimbalza da un cellulare all’altro, gira in rete raggiungendo una molteplicità di persone  e non é più cancellabile. La ripetitività dell’atto non si riferisce più al numero/frequenza di atti prevaricatori, denigratori compiuti, come nel caso del bullismo, ma la ripetitività del singolo episodio, immagine, video che raggiunge potenzialmente infiniti soggetti.

L’ampiezza del pubblico, teoricamente infinito, amplifica il senso di impotenza e di insicurezza della cybervittima.

La possibilità che ha il cyberbullo di nascondersi dietro un nickname garantisce una percezione di anonimato che deresponsabilizza e conseguentemente disinibisce il soggetto, rendendo ancora più facile la messa in atto di comportamenti bullizzanti. Si indeboliscono le remore etiche presenti nella vita reale e ciò rende spesso il linguaggio utilizzato più violento e crudele di quanto accadrebbe nella realtà.

Un altro elemento che agisce da facilitatore è la distanza fisica con la vittima poiché riduce la possibilità di una reazione empatica da parte del cyberbullo. Questi infatti agendo dal suo computer o cellulare non vede direttamente la reazione emotiva della vittima e non si confronta con lei.

Il bullismo, a prescindere dalla modalità con cui si manifesta e dal canale utilizzato, è un’espressione di immaturità affettiva e emotiva ed anche sintomo di difficoltà relazionali più o meno intense. Tali difficoltà relazionali non riguardano soltanto gli individui direttamente coinvolti, cioè bullo, vittima e spettatori, ma devono essere estese anche alle famiglie e all’intera comunità scolastica o sportiva di cui fanno parte. Ciò è un aspetto importante da considerare anche in ottica di scelta di strategie educative di intervento e di sensibilizzazione.

Il cyberbullismo e il bullismo si situano nelle pieghe di un processo di identificazione tipico dell’età adolescenziale. Nei giovanissimi l’identificazione con modelli univoci chiari, forti, solitamente modelli con grande appeal danno la possibilità di fondersi, garantiscono il senso di appartenenza con un gruppo forte . Coloro che si differenziano da tali modelli per aspetti estetici, timidezza, scelte di abbigliamento, razza, comportamenti sessuali sono esclusi dal gruppo principale e nelle forme più gravi divengono oggetto di  bullismo o cyberbullismo. Gli esiti del bullismo nelle sue diverse forme è quello di stigmatizzare la vittima, farlo sentire diverso ed escluderlo dal gruppo. Spesso i giovani molestatori non si rendono effettivamente conto di quanto possano nuocere, di quanto sia distruttivo e umiliante per l’altro il loro comportamento.

Di contro la vittima soprattutto di forme di cyberbullismo tenderà ad evitare qualsiasi forma di aggregazione, tenderà all’isolamento sviluppando così forme di depressione e, nelle situazioni più gravi, può dar luogo a ideazioni e intenzioni suicidarie.

Creare spazi di pensiero alternativi, livelli di pensiero diversi che durano nel tempo coi ragazzi, ma anche con i genitori, con la scuola, con gli allenatori sportivi è un primo livello di intervento per fare emergere un pensiero proprio e non più omologato (gioco dell’identikit del bullo, della vittima, degli spettatori; scambio dei ruoli).

E’ importante che i genitori imparino a riconoscere i possibili campanelli d’allarme che devono spingere ad approfondire eventuali situazioni di bullismo in cui è coinvolto il proprio figlio/a. Fra i segnali che richiedono maggiore attenzione da parte dagli adulti vi sono il manifestare ansia o paura quando si chiede al ragazzo/a della sua vita online; il fatto che eviti l’uso del personal computer, dello smartphone o di altri dispositivi per comunicare con gli altri; l’essere particolarmente stressati ogni volta che si riceve un messaggio, e ancora manifestare rabbia o depressione dopo una sessione online. Ci sono anche delle scelte educative che i genitori possono mettere in atto per prevenire o intervenire tempestivamente in caso di fenomeni di cyberbullismo:

1) Favorire l’acquisizione di conoscenza e consapevolezza di ciò che è il cyberbullismo anche sfruttando momenti informali, per esempio commentando insieme una notizia al tg.

2) Concordare coi ragazzi regole chiare riguardo l’uso delle tecnologie (quanto tempo,  come si può utilizzare), valutare il grado di maturità, di responsabilità del figlio/a prima di regalargli un cellulare o consentire l’accesso a dispositivi informataci e comunque prepararlo/a gradualmente al loro uso e monitorarlo/a successivamente.

3) Aiutare chi subisce atti di cyberbullismo a denunciare e chiedere aiuto nonostante il senso di vergogna e di impotenza provato dall’adolescente. Ciò è possibile se si è genitori aperti, vicini al mondo dei figli e non giudicanti.